Le controversie in materia di rapporto di lavoro possono trovare definizione oltre che attraverso la decisione del giudice del lavoro, anche attraverso istituti alternativi – rispetto alla via giudiziaria -, di definizione delle vertenze.
Infatti, un componimento in sede stragiudiziale e dunque non giudiziale della controversia reca diversi vantaggi, sia di tempo che economici, tanto per il datore di lavoro quanto per il lavoratore.
In quest’ottica si inserisce quale strumento deflattivo del contenzioso giudiziale, la conciliazione.
Da un punto di vista normativo, la legge 183/2010 (Collegato Lavoro) ha radicalmente modificato il sistema previgente, prevedendo come il tentativo di conciliazione non fosse più obbligatorio per la procedibilità della domanda davanti al giudice del lavoro, ma diventasse soltanto facoltativo.
Pertanto, il lavoratore oppure il datore di lavoro in caso di contenzioso, possono ricorrere direttamente il giudice.
Allo stato attuale l’obbligatorietà del tentativo di conciliazione prima di adire il giudice del lavoro risulta soltanto in due ipotesi:
– ove si intenda ricorrere contro l’atto di certificazione di un contratto formalizzato da una Commissione di certificazione, seguendo la procedura amministrativa prevista dall’articolo 410 del codice di procedura civilec;
– ove il datore di lavoro intenda procedere al licenziamento per giustificato motivo oggettivo di un dipendente cui si applica la tutela ex articolo 18 dello Statuto dei lavoratori.
Tale ultima procedura non si applica comunque ai lavoratori assunti con contratto di lavoro a tempo indeterminato a tutele crescenti.
Appurato come oggi la conciliazione stragiudiziale sia di fatto soltanto facoltativa, la stessa comunque può riguardare tutti i rapporti di lavoro individuati dall’articolo 409 del codice di proxedura civile e dunque:
– rapporti di lavoro subordinato privato;
– rapporti di mezzadria, colonia, compartecipazione agraria e altri contratti agrari;
– rapporti di agenzia, rappresentanza commerciale e collaborazione continuativa e coordinata;
– rapporti di lavoro di dipendenti di enti pubblici che svolgono attività economica in via esclusiva o prevalente;
– rapporti di lavoro dei dipendenti di enti pubblici o altri rapporti di lavoro pubblico.
Le sedi preposte alla conciliazione sono: commissioni istituite presso l’Ispettorato Territoriale del Lavoro (articolo 410 cpc), sede sindacale (articolo 412 ter cpc), commissioni di certificazione (articolo 76, decreto legislativo 276/2003).
La procedura di conciliazione stragiudiziale ordinaria (ex articolo 410 cpc) davanti all’Ispettorato territoriale del lavoro può essere richiesta da una delle due parti ma, perché possa prendere avvio, deve essere approvata da entrambe. In caso di adesione, viene fissato un incontro all’esito del quale viene redatto un verbale di accordo oppure mancato accordo.
Tra le varie tipologie di conciliazione, senza dubbio significativa è la conciliazione monocratica, prevista dall’articolo 11 del decreto legislativo.124/2004, che viene gestita esclusivamente presso l’Ispettorato territoriale del lavoro.
La conciliazione può aversi anche in sede sindacale, secondo le modalità previste dai contratti collettivi.
Secondo l’orientamento giurisprudenziale maggioritario la conciliazione in sede sindacale non può essere validamente conclusa nella sede aziendale, non potendo quest’ultima essere annoverata tra le sedi protette.
Recentemente, è stata estesa al diritto del lavoro anche la procedura di negoziazione assistita di cui all’articolo 2-ter del decreto legge 132/2014 convertito in legge 162/2014.
Si tratta come nelle altre ipotesi di una procedura stragiudiziale facoltativa rispetto alla procedibilità della domanda davanti al giudice del lavoro.
Affinché l’accordo tra il lavoratore ed il datore di lavoro possa qualificarsi atto di transazione è comunque necessario che contenga lo scambio di reciproche concessioni.
In ogni caso, non possono essere oggetto di transazione alcuni diritti indisponibili da parte del lavoratore, come ad esempio i diritti della personalità, i diritti futuri o la contribuzione previdenziale; analogamente, è nulla la conciliazione che abbia un oggetto indeterminato o indeterminabile, in quanto il lavoratore deve essere consapevole dei diritti a cui rinuncia.
La conciliazione stragiudiziale, dunque, rappresenta uno strumento alternativo alla via giudiziaria tramite il quale poter utilmente prevenire o comunque dirimere l’insorgere o la prosecuzione di controversie che, per entrambe le parti (datore di lavoro e lavoratore), possono avere un esito incerto.
Daniele Rocchi