fbpx
17.6 C
Comune di Arezzo
martedì 14 Ottobre 2025
Segnala a Zazoom - Blog Directory
spot_img

Quanto costa un figlio? Tra i sei e i sette anni di stipendio

Crescere un figlio è sempre stato un investimento affettivo, ma oggi è anche — e sempre più — una misura economica. Nelle economie avanzate, la decisione di diventare genitori si muove lungo la linea sottile che separa il reddito disponibile dalle spese obbligate. L’Italia non fa eccezione.

Secondo la Banca d’Italia, una famiglia con figli minori spende in media 640 euro al mese per ciascun figlio, pari a circa un quarto della spesa mensile complessiva. È una quota che fotografa con chiarezza la soglia oltre la quale la genitorialità diventa una scelta condizionata dal portafoglio.

Le rilevazioni Istat confermano il quadro: nel 2024 la spesa media mensile delle famiglie italiane è stimata in 2.755 euro, sostanzialmente stabile rispetto al 2023 (2.738 euro), ma in lieve calo reale a causa dell’inflazione. Se un figlio assorbe 640 euro di quella cifra, il suo costo incide come un affitto medio o una rata di mutuo. In pratica, ogni nuovo nato è una voce che ridisegna il bilancio domestico.

E non si tratta solo di “spese visibili” — pannolini, alimentazione, visite mediche, scuola, sport. A pesare sono anche i costi opportunità: ore di lavoro perse, avanzamenti di carriera rinviati, redditi più bassi nel medio periodo. Sono questi costi invisibili, spesso più determinanti di quelli monetari, a influenzare le decisioni di fecondità. Quando le famiglie percepiscono che un figlio riduce stabilmente il loro potenziale economico, la propensione ad avere un secondo o un terzo figlio cala. È la logica economica, non la morale, a modellare la curva demografica.

Negli ultimi vent’anni, l’Italia ha visto il proprio tasso di fertilità scendere da circa 1,45 a 1,20 figli per donna, con una stima di 1,18 nel 2024, uno dei valori più bassi d’Europa. La correlazione con il costo relativo di mantenimento dei figli è evidente: dove le spese crescono più dei redditi e i servizi pubblici non compensano, la natalità rallenta.

In Cina e Corea del Sud un figlio costa come sette anni di reddito

Per capire dove l’Italia si colloca, vale la pena guardare ai casi-limite.
Secondo il YuWa Population Research Institute (2024), crescere un figlio fino ai 18 anni in Cina costa in media 6,3 volte il Pil pro capite, mentre in Corea del Sud si arriva a 7,8 volte — i valori più alti al mondo. In pratica, per una famiglia di reddito medio, mantenere un figlio equivale a impegnare sei o sette annualità intere di guadagni.

Non stupisce che la natalità coreana sia ormai ai minimi storici: 0,72 figli per donna nel 2023, secondo Statistics Korea, e appena un leggero rimbalzo previsto nel 2024.

A gonfiare la spesa sono fattori tipici delle società ipercompetitive: l’istruzione privata e il doposcuola intensivo, i tutoraggi individuali, i corsi extracurricolari. L’educazione è percepita come investimento in status e sicurezza futura, e i genitori si sentono costretti a sostenerne i costi anche a prezzo di sacrifici personali. A ciò si sommano abitazioni urbane costose, orari di lavoro estesi e welfare frammentato, che amplificano la pressione economica. Il risultato è una spirale in cui pochi riescono a permettersi un figlio, e ancora meno un secondo. È il punto di rottura tra economia e demografia: quando il costo di un figlio supera una soglia psicologica e materiale, la scelta riproduttiva si congela.

In Corea e in Cina, il problema non è la mancanza di incentivi — bonus, sgravi e politiche pronataliste esistono — ma la loro inefficacia strutturale. Gli aiuti una tantum non possono compensare un sistema in cui scuola, casa e tempo costano troppo.

Il caso asiatico è dunque un laboratorio estremo: mostra cosa accade quando una società trasforma il figlio in un bene di lusso. Ed è una lezione anche per l’Europa: sostenere la natalità non significa moltiplicare i bonus, ma ridurre stabilmente il costo relativo dell’infanzia rispetto al reddito.

Figli, questione di welfare: la lezione di Usa ed Europa

Nei paesi occidentali il quadro è più sfumato. Gli Stati Uniti restano tra i paesi più costosi in valore assoluto: secondo Brookings (2022), crescere un figlio fino ai 17 anni costa circa 310.000 dollari per una famiglia di reddito medio, in rialzo rispetto alla vecchia stima Usda (2017) di 233.610 dollari. Tuttavia, il peso relativo rispetto al reddito medio è inferiore a quello asiatico, attorno a 4 volte il Pil pro capite (stima YuWa 2024).

La differenza cruciale, però, non sta solo nei soldi spesi, ma nei servizi ricevuti. In Europa, infatti, il costo “netto” di crescere un figlio cambia radicalmente a seconda di come funziona il welfare.
L’indicatore Ocse “net childcare costs” misura la spesa per nidi e scuole dell’infanzia al netto di sussidi e detrazioni: nei paesi nordici e in Francia le famiglie-tipo sostengono costi spesso a singola cifra percentuale del reddito disponibile, mentre in molti paesi mediterranei o dell’Est l’onere può salire a quote a due cifre, a seconda del reddito e della composizione familiare.

Dove l’assistenza all’infanzia è accessibile, la partecipazione femminile al lavoro è alta e la natalità si mantiene più stabile (intorno a 1,6–1,8 figli per donna); dove i servizi mancano, molte donne restano fuori dal mercato del lavoro e il tasso scende sotto 1,3.

La Francia è l’esempio più citato: non è un paese più ricco dell’Italia, ma investe in modo strutturale oltre il 3,5% del Pil in politiche familiari, tra congedi, sussidi e una rete di servizi per l’infanzia capillare. L’effetto combinato — riduzione del costo diretto dei figli e maggiore sicurezza economica — mantiene la natalità francese tra le più alte d’Europa.

All’opposto, nei paesi dove le famiglie devono “comprare” tempo e servizi sul mercato, la nascita di un figlio diventa un moltiplicatore di spese fisse. E il costo della casa aggrava il quadro: affitti e mutui nelle grandi città europee sono aumentati molto più dei redditi. Quando l’abitare diventa un vincolo economico, anche la scelta di avere figli si riduce.

In Italia, dove i redditi reali dei giovani sono stagnanti da due decenni, il problema dell’accesso alla casa si somma a quello del lavoro precario. Non è tanto la proprietà a mancare — l’Italia resta un paese di proprietari — ma la possibilità di autonomia economica nelle fasce under 35.

I conti in tasca alle famiglie: figlio mio, quanto mi costi

Crescere un figlio in Italia

Dentro questo quadro, l’Italia mostra un profilo coerente: costi diretti elevati, redditi medi fermi e servizi diseguali. Secondo la Relazione annuale della Banca d’Italia, le famiglie con figli minori spendono in media 640 euro al mese per figlio; moltiplicando per 18 anni, si superano i 150.000 euro. L’Osservatorio Federconsumatori (2024) aggiorna il dato: il primo anno di vita di un bambino costa tra 7.400 e 17.600 euro, a seconda del reddito familiare e delle scelte di consumo.

Nel frattempo, Save the Children documenta aumenti a doppia cifra nelle spese essenziali: +19,1% sui prodotti per la prima infanzia e +11,3% sulle rette dei nidi privati tra il 2019 e il 2023. Solo un bambino su tre tra 0 e 2 anni accede a un servizio educativo pubblico o convenzionato. Gli altri restano a casa, accuditi da un genitore — nella maggior parte dei casi la madre — o da familiari. Ciò significa meno ore lavorate, meno reddito, meno autonomia: è il costo opportunità, la parte sommersa del bilancio familiare.

Per molte donne italiane, la maternità segna ancora una frattura professionale: una su cinque lascia il lavoro dopo la nascita del primo figlio, secondo elaborazioni Inapp e Save the Children (2024). Questo effetto cumulativo non compare nelle statistiche di spesa, ma ne amplifica gli esiti. Se il reddito cala e le spese aumentano, il secondo figlio diventa un azzardo.

Sul fronte delle politiche, i bonus — dall’assegno unico ai sussidi per il nido — hanno alleviato in parte i costi immediati, ma non hanno mutato la struttura economica di fondo. Gli aiuti monetari, da soli, non riducono i prezzi strutturali di casa, scuola e servizi di cura. Finché queste tre voci resteranno ad alto impatto fisso, la natalità continuerà a rispecchiare la capacità di spesa.

Denatalità, Rosina: “Fare figli non è un obbligo, ma servono condizioni per farli”

L’età media al primo figlio supera ormai i 32 anni, le coppie con due o più figli diminuiscono, e i redditi reali delle giovani generazioni restano inchiodati. In Italia non mancano i figli perché “mancano i valori”: mancano le condizioni materiali per poterseli permettere.

 

Famiglia

content.lab@adnkronos.com (Redazione)

© Riproduzione riservata

spot_img

Notizie correlate

Comune di Arezzo
cielo sereno
17.6 ° C
17.6 °
17.6 °
50 %
1.1kmh
1 %
Mar
17 °
Mer
21 °
Gio
21 °
Ven
21 °
Sab
21 °

Ultimi articoli

SEGUICI SUI SOCIAL

VIDEO NEWS