Allenarsi prima di diventare padre può lasciare tracce misurabili nei figli. Su Cell Metabolism, uno studio dell’Università di Nanchino, in Cina, mostra nei topi che la prole di maschi allenati cresce con più resistenza, usa meglio l’energia e accumula meno grasso rispetto ai nati da padri sedentari. Il passaggio non cambia il Dna: viaggia nello sperma attraverso piccoli Rna che, nelle prime ore dopo la fecondazione, orientano i programmi di sviluppo. La prevenzione sale così a monte della gravidanza e chiama in causa anche la salute del padre.
Più massa magra, meno grasso: l’effetto “papà fit”
Maschi di topo sono stati assegnati in modo casuale a otto settimane di corsa su tapis roulant oppure a un regime sedentario, quindi accoppiati con femmine non allenate. Valutata in età adulta, la prole dei padri in forma presenta un profilo coerente: più massa magra, meno massa grassa, migliore performance ai test di resistenza, maggiore dispendio energetico a riposo. Non è un singolo indicatore a muoversi, ma un intero “assetto” metabolico orientato verso un uso più efficiente dei substrati.
Per evitare l’equivoco genetico, i ricercatori hanno usato anche un modello in cui nei padri è molto attivo Pgc-1α, coattivatore che potenzia la biogenesi mitocondriale. Le cucciolate mostrano gli stessi vantaggi anche quando questo tratto non viene ereditato, segnale che l’effetto non corre sul Dna. Passaggio decisivo: i piccoli Rna estratti dallo sperma dei padri allenati sono stati microiniettati in embrioni normali. La generazione nata da quegli embrioni ha replicato i benefici sul piano comportamentale, metabolico e molecolare. In sintesi, un’abitudine paterna prima del concepimento può lasciare un’impronta misurabile nella prole, almeno nel modello animale.
Dal seme all’embrione
Nel seme non c’è solo Dna. Sono presenti piccoli Rna che regolano l’accensione dei geni e accompagnano lo zigote nelle prime divisioni. L’allenamento del padre rimodella questo bagaglio. Nel lavoro cinese l’attenzione cade su due snodi noti: NCoR1, un freno che deprime i programmi di produzione di energia, e Pgc-1α, la spinta che li potenzia. I microRna dello sperma dei padri allenati tendono a ridurre l’espressione di NCoR1 negli embrioni precoci; con meno freno, Pgc-1α può agire con più efficacia. Il risultato, mesi dopo, è un muscolo che brucia meglio i grassi e regge più a lungo lo sforzo.
Questo quadro è allineato a studi che collegano altre esposizioni paterne (dieta, infiammazione, contatto con sostanze nocive) a cambiamenti dei piccoli Rna nello sperma e a effetti misurabili nei figli. La novità è associare un comportamento favorevole, l’esercizio, a un vantaggio funzionale intergenerazionale con bersagli chiari. Conta anche la cronologia biologica: la spermatogenesi dura circa 70–90 giorni. In questo intervallo lo stile di vita del padre può ancora influenzare il profilo dei piccoli Rna.
Applicabilità all’uomo: cosa sappiamo e cosa manca
La vita reale aggiunge variabili che il laboratorio non cattura: lavoro, sonno, alimentazione, esposizioni ambientali, reddito. Per capire se l’effetto esiste anche negli esseri umani servono studi che seguano i futuri padri prima della gravidanza, misurino l’attività fisica con strumenti oggettivi (accelerometri, non solo questionari), raccolgano campioni di sperma con protocolli standard e, nel tempo, osservino gli esiti nei figli: capacità aerobica con test validati, controllo della glicemia, composizione corporea, profili lipidici. In ambito di procreazione medicalmente assistita, i profili di piccoli Rna nello sperma risultano già associati ad alcuni parametri di qualità embrionale: un indizio, non una prova definitiva. La conferma richiede numeri ampi, follow-up lunghi e controllo rigoroso dei fattori confondenti.
Nel frattempo, è ragionevole un messaggio operativo e sobrio: muoversi con regolarità prima di cercare un figlio fa bene al genitore e potrebbe aggiungere un vantaggio alla generazione che arriva.
Dal laboratorio alla vita quotidiana: quanto e quando allenarsi
Serve passare dall’ipotesi alla pratica. Nei colloqui preconcezionali, accanto a fumo, peso e pressione, includere l’attività fisica del padre. Un obiettivo realistico è almeno 150 minuti a settimana di attività moderata o combinazioni equivalenti; la finestra dei 2–3 mesi prima del concepimento dà un orizzonte concreto, perché coincide con il ciclo di rinnovamento dello sperma.
La ricerca può fare il salto di qualità con biobanche e studi che collegano profili dei gameti a esiti dei figli, misure oggettive di attività e indicatori condivisi. Trial pragmatici su futuri padri con programmi di 12–16 settimane permetterebbero di verificare se e come cambiano i piccoli Rna nello sperma e, a cascata, variabili precoci nei figli.
Restano domande chiave. Quanto dura la “firma” nello sperma dopo l’interruzione dell’allenamento: settimane o mesi? L’età attenua l’effetto? Resistenza ed esercizi di forza agiscono allo stesso modo? Esiste una soglia minima di dose e intensità? Il vantaggio nei figli si mantiene se la loro vita è molto sedentaria o si perde? Quesiti alla portata di studi ben disegnati, che decideranno se questa pista resterà curiosità di laboratorio o entrerà stabilmente nei percorsi di prevenzione.
Il quadro, ad oggi, consente di muoversi senza forzature: la prova negli animali è solida; nell’uomo è in costruzione; il meccanismo proposto è plausibile; allenarsi regolarmente resta una scelta che paga sul piano personale. Se, in più, dovesse tradursi in un beneficio per chi nascerà domani, ci sarà una ragione concreta per tenere quell’ora di movimento in agenda.
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