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L’Italia è il secondo Paese al mondo per numero di uomini calvi: cosa ci dice (davvero) questo dato

Altro che pizza e mandolino: oggi l’Italia si scopre anche terra di chiome perdute. Secondo i dati 2024 di World Population Review, il nostro Paese è secondo al mondo per percentuale di calvi, con il 44,37% della popolazione maschile adulta che presenta questa caratteristica. Avere capelli o averne pochi è, sostanzialmente, una condizione comune. E forse sta diventando il simbolo di un nuovo stile.

Calvizie: un fenomeno universale (ma con forti differenze)

La calvizie è un fenomeno praticamente universale. A livello globale, circa 4 uomini su 10 presentano una perdita di capelli più o meno marcata. La frequenza aumenta con l’età: dopo i 50 anni, oltre la metà della popolazione maschile manifesta una forma di alopecia androgenetica, la tipologia più comune di calvizie. Ci sono tuttavia delle differenze tra Paesi, che dipendono da una combinazione di fattori genetici, ormonali e ambientali, ma anche da aspetti culturali e dal modo in cui la calvizie viene percepita o diagnosticata. Gli uomini di origine europea e nordamericana, ad esempio, tendono a essere più predisposti geneticamente rispetto alle popolazioni asiatiche o africane.

Il Paese con più calvi e quello con più capelli

E se l’Italia è al secondo posto per uomini calvi, chi ci sarà sul podio? Sopra di noi solo la Spagna, con una percentuale non troppo superiore alla nostra: il 44,5% degli uomini ha perso i capelli o li sta perdendo. Da sottolineare che i primi 5 Paesi della classifica sono tutti occidentali: al terzo posto troviamo la Francia con 44,25%, al quarto gli Usa con 42,68% e al quinto la Germania con 41,51%.

Viceversa, troviamo europei anche in fondo alla lista: Ucraina, Danimarca e Polonia hanno alcune delle percentuali più basse al mondo, rispettivamente del 30,86%, 31,61% e 31,78%.

Ma sono soprattutto i Paesi asiatici a perdere di meno i capelli. L’Indonesia è quello con la percentuale più bassa della lista, con il 26,96% di uomini calvi o che lo stanno diventando, le Filippine sono terzultime con il 28% (dunque sono ‘capellone’), la Malesia è quartultima con il 29,24% e la Cina sestultima con il 30,81%.

Non solo Asia però: anche Colombia e Argentina, rispettivamente con il 27,04% (secondo Paese con minore calvizie) e il 29,35% (quintultima), sono in fondo alla classifica.

Italia: tra geni, stress e stili di vita

Ma perché in Italia quasi un uomo su due mostra segni di calvizie o diradamento? Innanzitutto, è la genetica a giocare un ruolo determinante – le persone con una storia familiare di calvizie hanno maggiori probabilità di perdere i capelli -, ma non è questo l’unico fattore. La perdita dei capelli è favorita anche da stili di vita sempre più stressanti, da un’alimentazione disordinata, da carenze di micronutrienti e dall’inquinamento ambientale, che può alterare il ciclo vitale del follicolo pilifero.

Un ruolo importante è poi svolto dagli ormoni androgeni, in particolare il diidrotestosterone (DHT), che influisce sulla miniaturizzazione dei follicoli. Inoltre, la perdita di capelli è molto comune e quasi normale con l’avanzare dell’età, e il Bel Paese, con un’età media di 48,7 anni e il 24,7% di over 65, è un Paese ‘anziano’.

Quando la calvizie diventa un tema di salute

Gli esperti ricordano che la calvizie non è una malattia, e per molti è un semplice segno del tempo. Ma per altri la perdita dei capelli può avere un impatto significativo sull’autostima e sul benessere psicologico. Studi pubblicati sul Journal of the American Academy of Dermatology hanno evidenziato che fino al 30% degli uomini con alopecia riporta sintomi di stress o ansia legati al proprio aspetto.

Oggi le opzioni per contrastare o gestire la calvizie sono molteplici: farmaci come il minoxidil e la finasteride, trattamenti rigenerativi come il PRP (plasma ricco di piastrine) e trapianti di capelli sempre più sofisticati, che alimentano un vero e proprio ‘turismo’ ad hoc.

Non più un difetto ma un segno di stile

Tuttavia, essere calvi non è più un tabù. Se prima gli uomini con calvizie (o inizio di diradamento) venivano valutati meno positivamente rispetto quelli con capigliatura piena perché erano considerati meno attraenti fisicamente, più anziani e meno assertivi, studi più recenti mettono in luce che queste associazioni non sono più automatiche. Per esempio, uno studio del 2019 suggerisce che, sebbene la perdita dei capelli possa ancora influenzare l’attrattività fisica, perde gran parte del suo impatto negativo nel momento in cui si conosce meglio la persona.

Non solo: celebrità, atleti e professionisti scelgono sempre più spesso di abbracciare la calvizie con naturalezza, normalizzandola e trasformandola in un tratto distintivo piuttosto che in un difetto, anche “anticipando la natura”. Non è raro, infatti, che chi inizia a perdere i capelli decida di passare direttamente alla rasatura totale. Un gesto di libertà, che molti considerano anche più pratico: niente shampoo né stress.

La calvizie e la testa rasata insomma, non sono più viste come una ‘pecca’ in termini di attrattività ma come un segno di stile, qualcosa che caratterizza. E che anzi può essere percepito come espressione di maturità, sicurezza o addirittura di dominanza. Va detto che questa nuova accettazione differisce molto tra Paesi, generazioni e gruppi sociali, ma oggi l’aspetto fisico e l’immagine personale passano soprattutto da media, social network e moda e la calvizie, entrata in questo contesto, viene sempre più reinterpretata.

Popolazione

content.lab@adnkronos.com (Redazione)

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