Negli ultimi dieci anni la struttura demografica dell’Europa si è modificata a un ritmo che ha superato le proiezioni più conservative. La riduzione delle coorti giovani, osservata già dagli anni Duemila, si combina oggi con un aumento costante della popolazione anziana e con un progressivo spostamento del baricentro demografico verso le classi di età superiori. Le implicazioni sono rilevabili in più ambiti: servizi sanitari, welfare locale, mercato del lavoro, offerta formativa, dinamica dei territori urbani e rurali.
Recenti statistiche diffuse da Eurostat mostrano che l’aspettativa di vita in buona salute nell’Ue si colloca poco sopra i 63 anni, con un incremento limitato rispetto al decennio precedente. Parallelamente, l’aspettativa di vita totale registra un aumento stabile. Questo scarto tra longevità complessiva e anni vissuti in buona salute determina un’estensione della fase della vita in cui è necessario ricorrere a cure e assistenza, con conseguenze organizzative e finanziarie per i sistemi sanitari nazionali.
La dinamica demografica non è omogenea all’interno dell’Unione. Le grandi aree metropolitane continuano ad attrarre popolazione giovane e lavoratori qualificati, mentre in molte regioni dell’Europa centrale, meridionale e orientale si osserva un calo marcato della popolazione in età attiva. In queste zone, l’equilibrio tra domanda e offerta di lavoro si modifica rapidamente: alcuni settori faticano a sostituire il personale che esce dal mercato del lavoro e la distribuzione dei servizi territoriali deve essere ripensata.
Accanto all’invecchiamento, la bassa natalità rappresenta un elemento costante. In molti Stati membri il tasso di fertilità resta inferiore a 1,5 figli per donna, ben al di sotto della soglia di sostituzione. In Italia, Spagna, Grecia e gran parte dell’Europa orientale, i valori scendono anche sotto 1,3. Nel lungo periodo, la combinazione di natalità bassa e longevità crescente produce una struttura demografica sbilanciata che influisce sulla capacità di generare crescita sostenuta.
Questi elementi concorrono a delineare il contesto entro cui si inserisce l’analisi della Banca Europea per la Ricostruzione e lo Sviluppo, che nel suo ultimo report individua nella demografia un fattore strutturale della performance economica futura.
L’analisi dell’Ebrd
La Banca Europea per la Ricostruzione e lo Sviluppo (Ebrd) — istituzione multilaterale fondata nel 1991 per sostenere la transizione delle economie dell’Est Europa — nel Transition Report 2025-26 propone una stima che introduce la demografia nella dimensione della macroeconomia. La banca indica che, nelle economie in cui opera, la riduzione della popolazione in età lavorativa potrebbe determinare un calo medio di circa 0,4 punti percentuali l’anno nella crescita del Pil pro capite tra il 2024 e il 2050.
La banca definisce tale dinamica una “sfida definente” per la emerging Europe, cioè l’insieme dei Paesi che negli ultimi decenni ha alimentato la propria crescita grazie a un ampio bacino di lavoratori giovani, a salari competitivi e a una rapida industrializzazione. Ora, la disponibilità di forza lavoro non segue più le esigenze dei sistemi produttivi, mentre l’aspettativa di vita aumenta e il saldo naturale diventa negativo.
Il report individua tre fattori principali alla base di questa transizione:
- fertilità sottosoglia di sostituzione, stabile da anni;
- aspettativa di vita in aumento, con diffusione di patologie croniche in età avanzata;
- migrazione dei giovani lavoratori verso Paesi dell’Europa occidentale.
A ciò si aggiunge la difficoltà nel trattenere competenze tecniche e professionali, una delle cause per cui l’Ebrd rileva un numero crescente di imprese che rinviano progetti di ampliamento o ristrutturazione tecnologica per mancanza di personale adeguato.
Anche stime di Bruegel confermano questo trend su base territoriale: in alcune economie dell’Est Europa il calo demografico potrebbe raggiungere –3,2 persone ogni mille abitanti all’anno entro la metà del secolo, con effetti diretti sulla capacità locale di mantenere servizi scolastici, sanitari e infrastrutturali.
Di fronte a questi dati, la banca afferma che “nessuna singola misura sarà sufficiente” e che le economie coinvolte dovranno combinare interventi su più fronti: aumento della partecipazione al lavoro, politiche migratorie selettive, investimenti nella formazione continua e una strategia tecnologica in grado di compensare, almeno in parte, la contrazione della manodopera.
Gli effetti sui sistemi sociali e sulla distribuzione territoriale
L’invecchiamento della popolazione produce conseguenze su vari livelli. La prima riguarda la pressione sui sistemi sanitari. La discrepanza tra aspettativa di vita totale e anni vissuti in buona salute implica un aumento delle richieste di assistenza medica e domiciliare. Molti Paesi europei registrano difficoltà nel reperire personale sanitario e sociosanitario, mentre cresce il numero di persone che necessitano di trattamenti continuativi.
La seconda riguarda il cambiamento della struttura familiare. La riduzione della dimensione media dei nuclei e la maggiore mobilità lavorativa riducono la disponibilità di caregiver informali, con un trasferimento della domanda sui servizi pubblici e privati. In alcune regioni europee l’offerta di assistenza rimane stabile o cresce lentamente, mentre la platea degli utenti aumenta in modo costante.
Sul mercato del lavoro, le dinamiche sono altrettanto evidenti. L’ingresso delle nuove generazioni è numericamente insufficiente a sostituire chi esce. L’innalzamento dell’età pensionabile, in assenza di miglioramenti significativi dell’aspettativa di vita sana, incontra limiti strutturali. Una parte dei lavoratori over-60 non presenta condizioni di salute tali da consentire un’estensione uniforme della vita lavorativa.
La distribuzione territoriale della popolazione contribuisce a esasperare le differenze. Regioni che attirano lavoratori grazie a un tessuto produttivo dinamico mantengono un equilibrio relativo, mentre territori caratterizzati da calo demografico, mobilità giovanile e scarsa offerta lavorativa vedono ridursi la popolazione attiva e l’accesso ai servizi. In alcune zone rurali o periurbane dell’Europa sudorientale, l’età media cresce con un ritmo più rapido rispetto alla media europea, mentre la disponibilità di strutture sanitarie e scolastiche diminuisce.
Gli effetti complessivi non riguardano solo il welfare, ma la capacità delle economie locali di mantenere una base produttiva stabile. La presenza di imprese, servizi e infrastrutture dipende dalla densità della popolazione attiva, che in molte aree è in contrazione.
Strumenti politici e prime iniziative istituzionali
Le risposte politiche europee si muovono su livelli differenti. A marzo 2025 il Parlamento Europeo ha istituito l’Intergruppo Demografia, incaricato di monitorare le politiche relative a natalità, invecchiamento, mobilità e mercato del lavoro. Il suo ruolo è principalmente consultivo e punta a migliorare il coordinamento tra misure nazionali che, fino a oggi, si sono sviluppate in modo disomogeneo.
Parallelamente, gli Stati membri stanno adottando interventi autonomi per rispondere ai propri squilibri demografici: incentivi economici per le famiglie, programmi di attrazione di lavoratori stranieri, riforme dei sistemi pensionistici, investimenti nei servizi per l’infanzia o per l’assistenza agli anziani. Le strategie variano per intensità e priorità, riflesse nei differenti profili demografici e nelle condizioni economiche nazionali.
Le indicazioni contenute nel report dell’Ebrd offrono un riferimento utile per la valutazione di queste misure. L’istituzione colloca la demografia tra gli elementi che incidono direttamente sulla crescita potenziale delle economie europee e sottolinea la necessità di strategie integrate. L’andamento della popolazione in età lavorativa, la distribuzione territoriale e la domanda crescente di servizi assistenziali sono variabili che influenzano la sostenibilità dei sistemi sociali, la competitività e la capacità di innovazione nel medio e lungo periodo.
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