(Adnkronos) – Un “disinteresse dilagante” nella società civile e un’antimafia “parolaia” tra i ranghi della politica. A 34 anni dall’omicidio di Libero Grassi, l’imprenditore ucciso da Cosa nostra il 29 agosto del 1991 per essersi rifiutato di pagare il pizzo denunciando pubblicamente il racket delle estorsioni, la figlia Alice è amareggiata. “Se si vuole combattere la mafia, se si vuole sottrarre manovalanza alla criminalità organizzata nei quartieri a rischio, quelli in cui i boss reclutano le ‘nuove leve’ non servono altre leggi – dice all’Adnkronos -. Occorre, invece, offrire un’alternativa ai soldi facili della mafia, dare servizi, scuole, occasioni a chi vive quotidianamente nel degrado”. Alternative. Lo ripete più volte Alice, perché dopo la morte di suo padre, a distanza di oltre tre decenni Palermo sembra essersi assuefatta. “La città ha reagito molto tardi alla brutalità dell’assassinio di papà, nonostante pochi mesi dopo ci siano stati gli attentati di Falcone e Borsellino – ricorda -. Ha reagito anche grazie ai ragazzi di Addiopizzo, che sono riusciti a coinvolgere i consumatori, a farli sentire responsabili in un processo di liberazione dall’oppressione mafiosa”. “Dopo la denuncia pubblica di papà, sull’onda emotiva delle stragi, dei morti ammazzati in strada l’atteggiamento è cambiato moltissimo – aggiunge -. Oggi, però, quella tensione si è un po’ affievolita”. Archiviata la stagione stragista, arrestati i boss sanguinari ‘protagonisti’ degli anni più bui di Palermo, anche la mafia sembra essere diventata un fenomeno a cui guardare con distrazione. “Molti cittadini fanno finta che il problema non esista, che la mafia non ci sia più – denuncia Alice Grassi -. Oggi che Cosa nostra non spara più, la società civile finisce per relegarla a un fenomeno del passato. E, invece, purtroppo la mafia continua a prosperare, è viva più che mai, presente anche nelle benestanti città del nord, dove soldi e affari fanno gola ai boss. A Palermo botteghe artigiane e negozi storici hanno lasciato spazio a grande distribuzione e franchising, questo la rende meno tangibile ma non per questo meno presente”. E la politica? “Direi che combatte la mafia a parole, un’antimafia parolaia – dice -. Cosa sta facendo contro Cosa nostra? Il Ponte sullo Stretto? La Sicilia non ha bisogno del ponte, ma di strade, scuole, infrastrutture, una sanità efficiente. A quest’Isola serve tanto. A Palermo ancora di più. E’ una città con tante contraddizioni, con situazioni di degrado pesantissime. Nel centro storico sono scomparsi mercati e attività artigianali, vendiamo solo cassate, cannoli e arancine. Possibile che Palermo sia solo questo? Un immenso fast food a cielo aperto”. Segno anche questo di una crisi. Culturale, prima ancora che economica. “Se lo studio e la cultura vengono ritenuti inutili perché l’importante nella vita è fare i soldi e non come li fai – avverte -, allora la mafia ha campo libero. Ecco perché continuo a ripeterlo, forze dell’ordine e magistratura fanno un gran lavoro, ma occorre ripartire dalle scuole, là dove si forma per primo il senso di comunità”. “Scuole che siano degne di questo nome”, sottolinea Alice Grassi, che girando tra gli istituti per portare l’esempio del padre tra gli studenti ne ho viste di “terrificanti”. “Con banchi e infissi rotti, senza palestre, ospitate in condomini, con i ragazzi costretti a stare nelle aule con i cappotti per proteggersi dal freddo, istituti che cadono a pezzi. Se manca la presenza dello Stato, soprattutto nei quartieri più a rischio, Cosa nostra ha terreno facile nell’attirare i giovani. Bisogna dare alternative valide al guadagno facile della mafia. A Palermo ci sono ancora troppe situazioni di povertà e degrado”. Oggi a distanza di 34 anni il sacrificio di suo padre è stato vano? “Papà ha fatto un gesto eclatante in solitudine, voleva realizzare quello che poi tanti anni dopo hanno fatto i ragazzi di Addiopizzo: aggregare alla sua denuncia altri imprenditori. Allora non ci riuscì, non solo non si unì nessuno ma gli diedero anche del folle”. Quella lettera al ‘Caro estortore’, però, segnò uno spartiacque. “Alzò il velo su una situazione che tutti conoscevano, ma che avevano scelto di ignorare – dice ancora Alice Grassi -, quella denuncia pubblica non permise più di negare l’evidenza. Da allora il palermitano sa che può decidere da che parte stare”. Di papà Libero lei ricorda un insegnamento soprattutto. “Mi diceva sempre: ‘I soldi non servono per acquistare cose, ma per garantirsi la libertà di poter scegliere. Servono a essere liberi. Di lui mi manca tutto, mi manca come amico, come persona con cui confrontarmi e discutere di ogni cosa”. “Alle elementari – ricorda – non amavo andare a scuola. Il lunedì mattina le maestre mi chiedevano l’argomento della predica della domenica, ma la mia famiglia non era religiosa. Alle medie mio padre mi esentò dall’insegnamento religioso. Non era comune per quei tempi… Essere libera, questo mi ha insegnato papà”. (di Rossana Lo Castro) —cronacawebinfo@adnkronos.com (Web Info)
La figlia di Libero Grassi: “La lotta alla mafia? Ai cittadini non interessa più”
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