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Chi è Francesco Rubino, l’italiano a Londra fra i 100 del Time più influenti nel mondo della salute

(Adnkronos) – All’inizio della sua carriera non voleva diventare esattamente un chirurgo dell’obesità. Eppure oggi, proprio grazie alla sua attività 25ennale ed esperienza in questo campo, Francesco Rubino, 53 anni, per la rivista ‘Time’ è una delle 100 persone più influenti nel mondo della salute. L’essere stato inserito nell’elenco 2025 (categoria leader) “è stata una doppia soddisfazione: non solo un riconoscimento personale, ma un riconoscimento alla Lancet Commission, 56 esperti dagli Usa all’Australia, di tutti i continenti, con i quali abbiamo affrontato un lavoro di anni, iniziato nel 2019, per definire per la prima volta la diagnosi di obesità. Una diagnosi che distingue tra obesità clinica e preclinica. Lo abbiamo fatto spontaneamente e senza compensi, con la stessa passione che si ha quando si entra alla scuola di medicina”, spiega all’Adnkronos Salute Rubino, responsabile Metabolic and bariatric surgery al King’s College London.  “Finora – sottolinea l’esperto – non avevamo una diagnosi clinica di obesità, avevamo una classificazione basata sul peso. E non è facile usare una classificazione che, con l’indice di massa corporea, non riflette la salute dell’individuo”. Come spiegare alle persone cos’è l’obesità? “E’ uno spettro di condizioni – chiarisce Rubino – Ci sono persone che vivono con un’obesità moderata e non hanno immediatamente dei problemi di salute, magari hanno un rischio di averli in futuro e questo rischio va trattato con delle strategie diverse. Ma ci sono persone che hanno una vera e propria malattia, qui e ora, non un rischio futuro. Persone che non possono camminare, non possono respirare, lavorare. Purtroppo a loro spesso non viene riconosciuto questo stato di malattia, molto spesso non hanno accesso alle cure, poi ancora più spesso sono anche vittime di uno stigma. Per questo c’era bisogno di riconoscere l’obesità anche come malattia”. Un lavoro, quello della commissione, che va dunque “anche contro i pregiudizi”.  Pregiudizi che vanno “in due direzioni praticamente opposte. Da un lato c’è quello che ha fatto sì che non si potesse ritenere finora in maniera globalmente riconosciuta che l’obesità è anche una malattia – ragiona Rubino – E dall’altro il pregiudizio contrario di voler dipingere tutta l’obesità come una malattia, forse un errore involontario. Il punto è che questo è un problema che affligge talmente tante persone e occorre decidere in maniera concreta, scientifica, medica ed etica come e a chi dare priorità per farmaci e interventi chirurgici che non si possono dare a tutti, e trattare ognuno in maniera adeguata”.  Rubino spiega che lui stesso aveva, all’inizio del suo percorso, “un’idea sbagliata” della questione. “Pensavo fosse molto legata agli stili di vita, qualcosa da affrontare facendo esercizio e mangiando meno. ‘Perché operarsi?’, mi dicevo – racconta – Poi invece ho capito che mi sbagliavo sia sulle cause dell’obesità sia sugli interventi, ho capito che non era tutto così semplicistico. E mi sono specializzato in questa chirurgia”. E’ insomma “un problema importante, sul quale a mio avviso abbiamo fatto un passo avanti, però è un passo avanti che richiede ancora che molte persone cambino un po’ il loro modo di vivere e di vedere l’obesità, inclusi alcuni professionisti della sanità”. C’è chi si schiera come se fosse un problema di opinione, “invece deve essere un problema trattato secondo evidenza scientifica. La commissione ha trovato il modo di riconoscere una realtà che è, tutto sommato, sotto gli occhi di tutti, e cioè che l’obesità può essere un fattore di rischio e può essere una malattia vera e propria che compromette il funzionamento degli organi nello stesso modo in cui lo fanno altre malattie, quindi queste persone non dovrebbero essere discriminate”. Rubino è stato un ‘globetrotter’ del mondo medico-scientifico. Intorno ai 28 anni ha messo il bisturi in valigia ed è volato Oltreoceano. Nato a Cosenza, ha frequentato Medicina a Roma, all’università Cattolica – Policlinico Gemelli. “Qui mi sono laureato e specializzato in Chirurgia generale e già durante gli ultimi anni di specializzazione ho cominciato a fare esperienza all’estero – dice – Poi ho lasciato l’Italia per fare un ulteriore training negli Stati Uniti, al Mount Sinai Medical Center, alla Cleveland Clinic”. Poi c’è stata una parentesi di 7 anni in Francia, a Strasburgo. A quel punto “mi hanno offerto di lavorare alla Cornell University a New York”, dove c’era uno dei primi centri di chirurgia del diabete al mondo. “Le mie ricerche precedenti avevano evidenziato un meccanismo per cui gli interventi chirurgici che si fanno per l’obesità cambiano di fatto anche il metabolismo degli zuccheri, in maniera indipendente dalla perdita di peso. Quindi in qualche modo avevo sviluppato questo concetto di chirurgia per curare il diabete di tipo 2”.  L’esperto ha diretto questo centro alla Cornell “per 7 anni circa”. E la Grande Mela è anche la città dove ha incontrato “per caso” sua moglie Christin, “americana della California, due storie completamente diverse le nostre”. Lei “fa la cantante lirica e io, per un congresso che ho organizzato a New York, ho chiamato la Juilliard School per avere un cantante che si esibisse per l’occasione. E’ arrivata lei”. Il resto è storia. La coppia vive a Londra dal 2013 e oggi ha un figlio di 9 anni. L’Italia? “Manca, ma si torna ogni volta che è possibile, per far visita a mio papà che vive in Calabria e ha 87 anni”. (di Lucia Scopelliti) —cronacawebinfo@adnkronos.com (Web Info)

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